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Dalla parte del violento

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donnaIn questi giorni chi ha visto l’intervista di Ylenia, la ragazza di Messina che difende il suo aggressore, contro tutti e tutto, non può che aver provato un senso di stupore, rabbia, incredulità. Le sue parole e il suo comportamento appaiono senza dubbio inspiegabili ed insensati ai più.

Come è possibile che in una situazione di abuso, di aggressione, la vittima difenda e protegga il suo persecutore?

Accade molto più spesso di ciò che si possa immaginare.
L’identificazione con l’aggressore (definizione dovuta allo psicoanalista S. Ferenczi e poi ripresa da A. Freud) è un meccanismo di difesa in cui la vittima di un’aggressione prova un sentimento e sviluppa un legame profondo con l’aggressore.

Un esempio di identificazione con l’aggressore è la “Sindrome di Stoccolma”.

Il termine è stato coniato nei primi anni ’70 per descrivere le reazioni  di quattro impiegati di banca nei confronti dei loro rapitori. Il 23 agosto, del 1973, tre donne e un uomo furono presi in ostaggio in una banca di Stoccolma. Furono trattenuti per sei giorni da due ex detenuti che si mostrarono gentili con loro. Incredibilmente, gli ostaggi resistettero agli sforzi del governo per salvarli e, una volta liberati, difesero i loro rapitori. Diversi mesi dopo la liberazione, gli ostaggi provavano ancora sentimenti positivi per i loro rapitori: due delle donne si fidanzarono in seguito con loro.

La vicenda di Stoccolma ha portato studiosi e ricercatori a cercare di comprendere se il legame emotivo tra carcerieri e prigionieri fosse stato un evento occasionale oppure se fosse un evento comune in tali situazioni. Scoprirono che si trattava di un fenomeno ricorrente in situazioni di aggressioni e violenze, e lo chiamarono Sindrome di Stoccolma. Scoprirono che si era manifestata nei prigionieri dei campi di concentramento, si manifestava e si manifesta nei bambini vittime di abusi, nelle donne maltrattate, nei prigionieri di guerra, nelle vittime di sequestri e negli ostaggi.
E’ un meccanismo di sopravvivenza, non razionale, per cui le vittime sviluppano sentimenti e comportamenti positivi e un legame affettivo verso gli aggressori, si instaura una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e aggressore.

Le condizioni per cui la Sindrome di Stoccolma si manifesta sono:

  1. Consapevolezza che la propria vita dipende dall’aggressore
  2. Percezione di piccole gentilezze da parte dell’aggressore
  3. Incapacità di fuggire
  4. Sentimenti negativi verso la propria famiglia e le forze dell’ordine, che vengono percepite come minacciose nei confronti del legame con l’aggressore.

Questa Sindrome non è un vero e proprio “disturbo”: rappresenta bensì un quadro di emozioni, sentimenti e comportamenti che si possono attivare in chi subisce eventi traumatici, come un rapimento o abusi fisici o psicologici.

Attraverso questa lettura possiamo capire come mai la vittima talvolta difenda e protegga il suo aggressore.
Comprendiamo così come questo meccanismo di difesa sia in gioco nei casi di violenza sulle donne, perché a volte le donne non vogliano denunciare e sembra, incomprensibilmente, che “non vogliano essere salvate”.
Questo meccanismo di difesa si attiva in alcuni contesti, in cui è in gioco la vita: le persone che lo vivono meritano la nostra comprensione, in quanto vittime, non il nostro giudizio.

Si instaura una sorta di dipendenza psicologica e affettiva, le cui radici si trovano senza dubbio nelle relazioni interiorizzate vissute nell’infanzia, e che diventano poi il modo in cui l’adulto risponderà nelle situazioni di cura dell‘altro. In questo quadro vanno poi considerate altre variabili fondamentali, quali il temperamento, l’ambiente familiare e socio-culturale.

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